Testa•del•Serpente

"Rinunciare a tutto per salvare la testa" •

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Un pugno a Charlie Hebdo: concedetemi lo sfogo.

Je-suis-charlieQuando il 7 gennaio del 2015 dei terroristi islamici fecero una strage al numero 10 di rue Nicolas-Appertalla colpendo la redazione di Charlie Hebdo tutto il mondo scelse il motto “Je Suis Charlie Hebdo” per mostrare solidarietà identificandosi con le vittime in nome della “libertà di espressione”.

Fiumi di inchiostro riempirono chili e chili di pagine per commentare il fattaccio che ha visto contrapposti l’ideologia religiosa dell’Islam e il volgare cinismo in salsa laicité del giornale francese.

Lo scandalo fece conoscere il giornale Charlie Hebdo a tutto il mondo anche se il giornale si era già dedicato da tempo ad insultare, ridicolizzare e volgarizzare le religioni. Anche il cattolicesimo e i cattolici erano stati presi pesantemente di mira con vignette oltre il limite della decenza che ritraevano la Santissima Trinità e diverse rappresentazioni di papa Benedetto XVI. Ma le accuse contro i cristiani e il loro Dio non hanno alzato polveroni di indignazione, rappresaglie o veglie di preghiera pubbliche.

Il mondo intero, compresi i nostri connazionali, si risvegliò improvvisamente amante della satira e difensore di illimitati diritti d’espressione. Il pugno e la matita alzati unirono uomini e donne, giovani e anziani di tutto il globo a sostegno degli irriverenti francesi con licenza di blasfemia (anche se poche ore dopo l’attentato, chi scrive si discostò da questa epidemia di irrazionale solidarietà per i francesi).

Anche papa Francesco disse la sua affermando che “E’ vero che non si può reagire violentemente ma… se qualcuno dice una parolaccia contro mia mamma si aspetti un pugno! E’ normale” (VIDEO). Niente violenza dunque ma neanche offese che feriscano la dignità delle persone e dei loro cari.

I vignettisti francesi continuano comunque sulla loro strada fatta di insulti, ingiurie e scherni contro tutto e contro tutti, cercando consenso e plauso in nome di un loro particolare e personale concetto di “libertà d’espressione”.

Ora, nel mirino di Charlie Hebdo c’è il terremoto che ha colpito il centro Italia. Senza alcuna pietà umana il giornale ha pubblicato un’immagine, che non è facile commentare, dove si paragonano le vittime del terremoto a piatti di pasta. Così vuole far ridere Charlie Hebdo, ma non ci riesce. Così vuole far divertire i suoi lettori Charlie Hebdo, ma lo sta facendo nel modo sbagliato.

“La vignetta sul terremoto è pubblicata nell’ultima pagina del numero in edicola di Charlie Hebdo, che ha in copertina una vignetta sul burkini” (agenzia Ansa).

Oggi nessuno alza più una matita in nome della libertà d’espressione. Noi non l’abbiamo fatto a gennaio del 2015 ne tanto meno lo faremo oggi che la satira francese si prende gioco dei nostri cari, dei nostri amici, dei nostri connazionali mentre il disastro chiede silenzio e umana pietà.

Ovviamente nessun italiano penserà di andare a fare giustizia con armi da fuoco agli abitanti di Amatrice, Pescara del Tronto, Accumuli e delle altre frazioni colpite dal terribile sisma. Ma, in un sussulto d’orgoglio, concedeteci uno sfogo: ‘fanculo Charlie Hebdo!

 

Articolo originale su Romagiornale.it

Il “Charlie Challenge”: gioco innocente o spiritismo?

charlie-challengeUn fenomeno globale di grande successo tra i giovani: è l’invocazione dello spirito Charlie per scoprire il futuro.

Si chiama “Charlie Charlie challenge” (La sfida del Charlie Charlie) e in poche ore è diventata la nuova moda tra i giovani di tutto il mondo, un fenomeno globale e virale che da qualche giorno si sta espandendo, ora dopo ora, attraverso Twitter, Facebook, Whatsapp e altri social media. In sostanza si tratta di invocare, con un semplicissimo rituale, la presenza di uno spirito chiamato “Charlie” davanti a un foglio (sul quale vengono scritte le parole “sì” e “no”) e a due matite posizionate al centro del foglio in forma di croce. Ad una determinata domanda – ad esempio “Charlie, Charlie, supererò l’esame?” -, lo spirito si manifesta in modo misterioso muovendo la punta della matita verso il “sì” o verso il “no”a seconda della risposta che vorrà fornire.

Nonostante qualcuno parli di forza di gravità, di movimenti dovuti al vento o di persone suggestionate da eventi naturali, il fenomeno non sembra avere spiegazioni naturali: niente trucchi, niente vento, niente magneti sotto il tavolo, niente fili trasparenti nè effetti ottici; inoltre data l’enorme quantità di video amatoriali pubblicati da diverse parti del mondo è difficile pensare a un lavoro di editing digitale di alta qualità; in effetti esistono sul web divertentissimi video che creano effetti ottici veramente simpatici (clicca qui per vederne un esempio divertente). Ma il caso in questione è diverso: il fenomeno di Charlie non è creato dalla capacità tecnologica di chi ha pubblicato il video ma l’unica spiegazione plausibile rimanda ad una vera e propria seduta spiritica con l’intervento di una entità spirituale, presente ma invisibile.

Semplice gioco o seduta spiritica?

Apparentemente si tratta di un semplice gioco, un passatempo divertente per giovani curiosi, desiderosi di avere qualche anticipazione sul prossimo futuro. In realtà ciò che si cela dietro a questo presunto giochino sono potenze occulte che, se veramente conosciute, farebbero paura ai più goliardici e coraggiosi concorrenti. Dai video caricati su internet, a quanto pare, basta il fatto che la matita si muova da sola per far sì che i giovani scappino urlando terrorizzati dall’inusuale fenomeno. Ma a far paura dovrebbe essere piuttosto la presenza del misterioso demone che una volta chiamato, sollecitato dal rituale, instaura un rapporto con i partecipanti al rito, un rapporto che non è detto che si risolva felicemente e facilmente.

La stampa entusiasta (anche quella italiana).

In questi giorni tutti i giornali americani parlano del “Charlie charlie challenge”, il fenomeno è infatti partito dagli Stati Uniti dove Twitter è utilizzato da tutti i giovani in percentuali non paragonabili a quelle italiane); L’Huffington Post, il Washington Post, BBC ed altri rispettabili organi di stampa descrivono il fenomeno con tanto di istruzioni per l’uso. Anche i giornali italiani ne parlano con un certo entusiasmo diffondendo video amatoriali e foto di questa ultima trovata. Sicuramente a livello pubblicitario notizie di questo genere sono estremamente ghiotte per la stampa, soprattutto per quella online sempre alla ricerca di condivisioni, click e commenti. Così facendo i giornali si comportano come dei social network contribuendo (e così implicitamente incoraggiandola) alla diffusione della pratica spiritica senza nessuna critica né spiegazione plausibile.

L’origine del rituale: il Messico non c’entra.

Qualcuno afferma che le radici storiche del rituale siano da ricercare in una antica tradizione messicana e in un demone chiamato per l’appunto Charlie, ma la tesi sembra priva di fondamento. María Elena Navez corrispondente messicana della BBC ha smentito categoricamente il legame tra il Charlie e la mitologia messicana, affermando che nei racconti e leggende della tradizione messicana non esiste nessun demone chiamato “Carlitos” (traduzione letterale del nome Charlie in spagnolo); la cosa sarebbe impensabile se si pensa che tutti i nomi delle divinità messicane sono in lingua atzeca o maya, e basti pensare agli impronunciabili nomi di Tlaltecuhtli o Tezcatlipoca per capire che qui Carlitos (o Charlie) non c’entra proprio nulla!

All’origine del fenomeno Charlie c’è più probabilmente il “Juego de las lapiceras” (lett. “Gioco delle penne”) già diffuso in Sud America e conosciuto come la Ouija dei poveri. Lo scopo del “gioco delle penne” è lo stesso  (conoscere il futuro ottenendo risposte dall’aldilà) ed il rito è esattamente uguale, ma questa volta lo spirito invocato ha un nome proprio (Charlie) la cui provenienza, al momento, è sconosciuta.

Il monito del giovane sacerdote.

charliecharliechallengeLa diffusione del rito spiritista tra i giovani americani è allarmante: dal 24 maggio in 48 ore l’hashtag (parola chiave di Twitter) #charliecharliechallenge è stata utilizzata da più di due milioni di persone. E’ questa diffusione massiva che ha spinto il sacerdote Stephen McCarthy, cappellano del liceo cattolico SS. Neumann and Goretti Catholic High School in Filadelfia, a scrivere una lettera per mettere in guardia i suoi alunni da questo gioco “affatto innocente”:

“Sono venuto a sapere che circola un gioco molto pericoloso nei social media che incoraggia apertamente i giovani più sensibili a evocare demoni.
Vorrei ricordare a tutti voi che non esiste modo di “giocare innocentemente coi demoni”.

Per favore abbiate cura di NON parteciparvi e di incoraggiare gli altri ad evitare di parteciparvi.

Capisco quanto possa tentare la curiosità, ma il problema di aprirsi all’attività dei demoni è che si sta aprendo una finestra di possibilità che non sarà facile da chiudere.

Se vorrete “sperimentare” qualcosa convocando enti spirituali, posso raccomandarvi la Messa o il Rosario? Penso che, a lungo andare, troverete queste alternative più sicure e gratificanti.

Grazie in anticipo per la vostra cooperazione su questa questa questione così importante.

Che Dio ci benedica e ci protegga con l’aiuto del nostro angelo custode!”

Il richiamo dell’esorcista.

Più volte nei suoi numerosi libri e interviste, il sacerdote italiano Gabriele Amorth ha messo seriamente in guardia i suoi lettori sulla serietà e pericolosità dei rituali di spiritismo, “una pratica in forte espansione”. Infatti, al contrario di quello che si potrebbe pensare, sono molti quelli che, mossi dalla semplice curiosità o dalla volontà di conoscere eventi passati o futuri, cercano il modo di evocare le anime dei defunti tramite medium o sedute spiritiche. Secondo padre Amorth questo fenomeno è direttamente proporzionale alla crisi di fede e i rischi che si corrono sono di duplice natura; oltre ai rischi di natura umana come i traumi psicologici (ansia, stress, apprensione, iper sensibilità alle realtà spirituali…) si corrono dei grossi rischi di natura spirituale dovuti all’intervento del demonio: dai “disturbi malefici” alla vera e propria “possessione diabolica”. Più volte Amorth ha denunciato la mancanza di una adeguata formazione in materia, anche da parte di sacerdoti e vescovi che hanno la responsabilità di istruire giovani sui pericoli di queste pratiche spiritiche invitandoli a considerare la serietà di questi fenomeni e, dunque, a non scherzare col fuoco!

charlie3Ipotesi Charlie Hebdo.

Esclusa l’improbabile ipotesi del demone messicano, l’origine del nome Charlie resta un mistero ancora non risolto oppure non svelato. Certo, è perlomeno curioso che ritorni il nome che qualche mese fa era sulla bocca di tutti dopo gli attentati parigini del 7 gennaio 2015 alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo. La strage, costata la vita a dodici persone, ha ottenuto una risonanza mondiale senza paragoni anche grazie ai social networks che hanno aiutato alla diffusione del motto “Je suis Charlie” come gesto di solidarietà con le vittime dell’attentato; anche l’immagine della matita, simbolo della libertà di espressione dei disegnatori satirici, è stata presa come icona di una campagna globale di solidarietà. Ora fa pensare il fatto che è proprio attraverso delle matite che uno spirito chiamato Charlie si manifesti in modo misterioso.

Fonti consultate: 

 

 

Martiri o fanatici? Il sangue dei cristiani che sporca i nostri salotti

martiri coptiLe immagini dei 21 cristiani copti sgozzati dai miliziani dell’ISIS in riva al mare hanno fatto il giro del mondo. L’ennesimo video della propaganda del terrore islamico termina con l’inquietante scena delle onde del mare (lo stesso che bagna le spiagge italiane) che assorbono il sangue dei ragazzi egiziani rei di non credere in Allah, di non appartenere alla Umma, al grande popolo dei credenti.

La barbara uccisione dei cristiani, però, non ha commosso l’opinione pubblica al punto di sollevare il clamore popolare, di organizzare adunanze massive (di protesta, di solidarietà o di preghiera) nelle capitali europee o maratone televisive e radiofoniche monotematiche come di fatto è successo dopo l’attentato a Parigi. In quel caso milioni di persone – tra cui i più importanti governanti delle nazioni europee – mostrarono il loro disappunto e la loro solidarietà con le vittime scendendo in piazza, vestendo a lutto o mostrando slogan di solidarietà con i giornalisti di Charlie Hebdo. Ma la vita di un cristiano, si sa, non vale un granché, specialmente se si tratta di un cristiano d’oriente, una minoranza abituata a discriminazioni, persecuzioni, minacce ed uccisioni, il tutto passato sotto silenzio dai media e dalle organizzazioni internazionali (ONU e Amnesty International in primis)

I martiri copti non erano dei giornalisti laici e satirici che, matite e pennarelli in mano, difendevano i valori e i colori della laicità: fraternità, libertà (di stampa), uguaglianza e tolleranza; quindi non svolgevano un ruolo utile alla società occidentale. A dirla tutta, quei ragazzi non difendevano neanche la loro vita mentre venivano condotti come dei cani al guinzaglio dagli omoni islamici. L’unica cosa che sembravano difendere i giovani egiziani era la loro identità, o semplicemente, la loro fede, il loro Credo. Per questo sono stati disposti a morire rifiutando di sottomettersi ad Allah pronunciando la formula di adesione all’Islam imposta ai prigionieri infedeli.

bagdadQualche mese fa, quattro ragazzi cristiani sono stati decapitati dai jihadisti dello Stato Islamico per aver rifiutato di pronunciare la Shahada che recita: “Non vi è altro dio che Allah, e Mohammad è il Suo profeta”. E’ la prima e fondamentale kalima (insegnamento)  dell’Islam: la fede nell’unicità di Allah. Rifiutare di pronunciare la formula significa rifiutare di abbracciare la fede islamica e collocarsi automaticamente nel lato sbagliato del mondo: quello degli infedeli e dei bestemmiatori. Di questi tempi rifiutare la Shahada è semplicemente una autocondanna a morte. Così i giovani cristiani – che secondo le testimonianze risposero: “Noi vogliamo bene a Gesù e seguiamo solo lui” – sentenziarono la loro condanna a morte come bambini capricciosi, infedeli non sottomessi ad Allah.

Allo stesso modo nel cruento filmato dell’omicidio dei 21 cristiani copti si osserva che alcuni di loro, prima di venire sgozzati, pronunciavano sottovoce il nome di Gesù: una preghiera e una adesione di fede che è l’esatto contrario della Shahada. I 21 copti egiziani, così come i 4 bambini di Baghdad hanno preferito invocare il loro Dio e non il dio dei loro aguzzini, hanno preferito il dio di Gesù Cristo ad Allah, la preghiera del nome di Gesù al profeta Maometto. La questione può sembrare banale, ma non lo è se si guarda a ciò che succede nei nostri paesi occidentali e nei nostri salotti ecumenici e accoglienti.

Dopo l’attentato di Parigi del 7 gennaio 2015, difatti, i media europei si cimentarono in una forzata propaganda a favore dell’Islam e dei musulmani, volta a salvare la faccia alla religione di Maometto dopo la strage compiuta in nome di Allah. La propaganda – guidata dalla stampa e dai mezzi di comunicazione, il mainstream culturale gestito dalla sinistra – ha visto dei testimonial d’eccellenza come lo stesso presidente francese che ha tenuto a precisare che l’Islam non centrasse nulla con gli attentati dei terroristi. Nei giorni successivi all’attentato, i talk show, i salotti radical chic, i telegiornali, gli speciali radiofonici si concentrarono in un’apologia dell’Islam moderato quasi fosse la migliore religione possibile della storia. Non ci sarebbe da meravigliarsi che gli attentati di Parigi abbiano provocato indirettamente (e paradossalmente) – anziché un rifiuto – un nuovo avvicinamento all’Islam da parte dell’Occidente, e qualche conversione.

Si tratta dell’ultimo ed estremo tentativo della sinistra laica e progressista di democratizzare le religioni e di screditare l’idea di uno scontro di civiltà, scontro che, dall’altra parte del Mediterraneo, è molto più che un’ipotesi remota. Dunque – secondo il modo di vedere del pensiero dominante – per preservare la convivenza di Islam e Cristianesimo è necessario affermare che i terroristi islamici non sono islamici e che gli omicidi in nome di Allah non sono omicidi in nome di Allah, che la guerra agli infedeli non ha nessun connotato religioso e che – in realtà – l’Islam, quello vero, è bello perché moderato. D’altronde chi di noi, nei giorni che seguirono gli attentati a Parigi, non ha pensato almeno una volta a convertirsi all’Islam moderato?

Il punto è che se l’Islam è una religione di pace e di dialogo come ci insegnano i media, i libri scolastici, Obama, Boldrini, Hollande e altri maestri illuminati dei nostri giorni, questi atroci e bestiali atti di terrorismo non possono che nascere da menti disturbate, da qualche psicopatologia di origine sconosciuta che alimenta deliri di conquista di un regno grande quanto il mondo a costo di staccare la testa a tutti i propri oppositori. Una patologia di questo genere – in quanto sconosciuta – necessiterebbe di un’analisi e di una cura sperimentale e gli esperti potrebbero innanzitutto tentare di analizzare ciò che resterebbe se si togliesse ai pazienti sofferenti, ogni riferimento teorico alla religione islamica. Il risultato sarebbe interessante per la comunità scientifica. Resta dunque il fatto che separare, fino ad opporli, Stato Islamico ed Islam rende ancora più difficile comprendere cosa è veramente l’Islam e cosa è veramente l’ISIS.

A questo riguardo esiste un grosso pericolo all’interno del pensiero cattolico quello di un relativismo religioso, un sincretismo che non riconosca alcuna differenza tra le diverse religioni monoteiste come se fossero tutte egualmente buone, giuste e vere (2). Questa deriva della teologia cattolica, che poggia su esigenze di dialogo inter-religioso ma che che si lascia affascinare da un radicale relativismo, arriva ad affermare – come base per ogni dialogo – che musulmani e cristiani adorano “lo stesso dio” ma in modalità diverse. Purtroppo quest’idea – lungi dall’essere una fantasticheria di qualche sprovveduto – è profondamente radicata in molti ambienti: in ambito popolare, giornalistico, teologico, accademico e anche in alcuni componenti della gerarchia. Alla radice di questo equivoco c’è l’interpretazione di alcune dichiarazioni molto discusse del Concilio Vaticano II che definiscono i musulmani dei credenti che “adorano l’unico Dio”.

Dire che quello dei cristiani e quello dei musulmani non è lo stesso Dio è estremamente rischioso: è politicamente (e religiosamente) scorretto, si rischia di essere definiti intolleranti e incapaci di dialogare in modo costruttivo a pacifico. Inoltre affermare che si tratta di due concetti diversi (e spesso opposti) di dio include la possibilità di riconoscere l’invalidità – o per lo meno l’incompletezza – di uno dei due concetti. Un arduo lavoro, avendo ormai abbattuto le differenze tra il vero e il falso.

Al di là di questo relativismo di stampo occidentale (un musulmano o un ebreo non si permetterebbero mai di affermare che aderire al cristianesimo sarebbe adorare lo stesso loro dio senza rischiare di soffrirne le conseguenze) c’è qualcosa che potrebbe far riflettere e che offre una chiave di lettura diversa: è il volto del ragazzo che muore invocando Gesù Cristo e sono quei quattro ragazzi che rifiutano di pronunciare la Shadada. Avrebbero conservato la loro vita se avessero urlato che Allah è grande ed unico. D’altronde non è “grande” e “unico” anche il nostro Dio? Il dubbio che può sorgere è il seguente: se si tratta dello stesso dio, perché rifiutare di chiamarlo, solo per un attimo, per avere salva la vita, con un nome diverso? Se si tratta dello stesso dio, si può forse pensare che questi ragazzi cristiani abbiano esagerato un poco e si siano comportati come dei fanatici, eccessivamente invasati? Non sarebbero dunque eroi, ma cretini!

I musulmani sono forti perché non rinunciano così facilmente al proprio dio, non permettono che altri se ne approprino, non permettono che Allah si mascheri da supereroe restando lo stesso e cambiando nome; per questo sono capaci di morire. Basti osservare che la bandiera dello Stato Islamico recita chiaramente quello che è fulcro della loro fede, il motivo della loro lotte, del loro terribile avanzare e dello spargimento di sangue: “non c’è dio al di fuori di Allah”. Per loro, credere in dio che risponde ad un altro nome, non è assolutamente irrilevante (3)

Se il cristianesimo è ancora vivo è perché ancora oggi c’è qualcuno capace di difendere la propria fede, qualcuno capace di non svendere il proprio Dio al miglior offerente per onorare un dialogo interculturale o inter-religioso. Qualcuno che è capace di dire di no ad Allah e di invocare Cristo anche a costo di morire, così come fecero i tre giovani giudei del racconto del libro biblico di Daniele che rifiutarono il culto al re Nabucodonosor e il sacrificio offerto agli idoli per fedeltà al loro (unico, caspita!) dio, YHWH (Dn cap. 1 e 3)

La voce dei cristiani che invocavano Dio, l’univo vero Dio, è stata zittita dalle lame affilate dei combattenti di Allah e il loro sangue si è riversato sul nostro mare come un fiume. E mentre nei nostri salotti discutevamo e discutiamo, come in un delirio febbrile, di un’unica grande religione mondiale che chiama lo stesso dio in modi diversi, improvvisamente uno schizzo di sangue ha sporcato i nostri studi spaventandoci per un attimo. Nulla di grave, è solo un po di sangue, la macchia sul divano andrà via con qualche buon prodotto; che volete che sia? Sangue di nessuno, sparso da nessuno.

Intanto la furia islamica si è accanita, irrazionale e violenta, contro le statue assirie del museo di Mosul spazzando via a bastonate il patrimonio universale che testimonia una delle civiltà più antiche che sia la volta buona per tornare in piazza ad urlare “Je suis statue“.

 

 Miguel Cuartero

(1) “Il fatto di accettare o di non accettare il contenuto di questa formulazione crea tra gli uomini un’enorme differenza. Coloro che ci credono formano una comunità unica e quelli che rifiutano di credere costituiscono il gruppo avverso. I credenti progrediranno sulla via del successo in questo mondo e nell’altro, mentre il fallimento e l’ignominia saranno il risultato di coloro che rifiutano di crederci”. Abu-L’Ala Maududi, Conoscere l’Islam, Roma 1977, p. 75.

(2) “Il prerenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio). Cong. Dottrina della Fede, Dominus Iesus,  n° 4.

(3) Dennis Redmont, Responsabile della comunicazione al Consiglio per le Relazioni Italia e Stati Uniti, afferma che la prima domanda che i jihadisti fanno a un ostaggio è “di che religione sei?”. La risposta è il discriminante che condanna o salva la vita del prigioniero (fonte).

Non sono Charlie! ma la mia religione mi vieta la vendetta

charlie2La strage avvenuta a Parigi nella sede del giornale Charlie Hebdo ha scosso il mondo intero e, in particolar modo, l’Europa. Oggi il vecchio continente piange per la morte dei giornalisti francesi uccisi da tre mostri armati fino ai denti che sono piombati improvvisamente nei loro uffici interrompendo, non semplicemente una riunione di redazione, bensì 12 vite umane, stroncando per sempre i loro sogni, i loro progetti, le loro speranze, la loro arte, passioni e aprendo una ferita profonda nelle loro famiglie.

Oggi siamo tutti francesi, siamo tutti vignettisti, siamo tutti più occidentali e “siamo tutti Charlie”, così infatti i giornali, i social network, i siti personali e le piazze si vestono a lutto stringendosi attorno alle vittime e ai suoi famigliari con una matita in mano (segno dell’arte che ha costato la vita ai 12 francesi) e una scritta: “Je Suis Charlie“.

Un po’ come quanto qualche mese fa, tra i cattolici, fece il giro del mondo la lettera araba ن simbolo con cui gli islamisti jihaidisti dell’Iraq (dell’Islamiq State) segnarono le case e le proprietà dei cristiani di Mosul per svaligiarle e ucciderne gli inquilini. Una lettera (nun) che indica una appartenenza: quella di essere cristiani, nazareni, e di aver rifiutato la conversione di adorare Allah e di pagare il tributo al nuovo stato islamico. E’ per questo che milioni di cattolici hanno offerto le loro preghiere e la loro solidarietà dicendo: “Siamo tutti nazareni”!

Le immagini satiriche che ridicolizzavano l’islam sono famose in tutto il mondo perché da tempo sollevano l’indignazione e lo sdegno della comunità musulmana. Tre anni fa una bomba molotov scoppiò nella sede dello stesso giornale per vendicare le vignette ironiche su Maometto. Oggi dodici persone sono state uccise – direttore, giornalisti, collaboratori e guardie – per vendicare il grande Profeta al grido di “Allah è grande”.

Hebdo-libreUn po’ meno conosciute, anzi, quasi sconosciute, le vignette che mettono in ridicolo Gesù, la Chiesa e il papa. Il giornale francese non è mai stato tenero con nessuno, tanto meno con i cristiani i quali sono stati bersaglio delle irriverenti matite di Charlie Hebdo in modo grottesco, grossolano e volgare. Le immagini che si riferiscono a Dio, a Gesù, alla Trinità, non meritano neanche un commento. Cosa dire, invece, del girotondo dei cardinali sodomiti, o di papa Benedetto XVI continuamente indicato come pedofilo e omosessuale, ritratto alzando un preservativo come se fosse in una funzione liturgica, nell’atto di violentare dei bambini o di baciare una guardia svizzera dopo essersi ritirato? (fa male inserire la foto ma rende l’idea di quello che si vuole dire, ed è la meno aggressiva!)

Va bene commuoversi, va bene piangere, va bene la rabbia e va bene alzare le matite in ricordo di Charlie Hebdo! Forse va bene anche andare tutti all’ambasciata francese come segno di vicinanza. Ma è necessario domandarsi dove va a finire il nostro senso di fratellanza e di solidarietà (soprattutto tra cristiani) ogni volta che dei nostri consanguinei (perché abbiamo avuto in eredità il sangue di Gesu Cristo!) vengono sterminati in Iraq, in Afganistan, in Corea o in Nigeria dalla furia dell’estremismo islamico. Quante veglie di preghiera per ricordare le loro anime? Quante segni visibili per sostenere le loro famiglie? Quante ferme dichiarazioni per dire basta con le stragi di innocenti? Quante visite alle loro ambasciate? O a San Pietro, “ambasciata” simbolica di tutti i cristiani cattolici del mondo? Quanti comunicati dei nostri governanti per fermare la strage?

Io non sono Charlie! Non approvo questa satira, questo tipo di informazione, queste falsità e gli insulti gratuiti contro il Cristianesimo, contro la Chiesa e contro il papa. Ma il punto è un altro: che la mia religione (nonché la mia ragione illuminata dalla fede cristiana) mi vieta di uccidere per difendere il papa; mi vieta anche di spargere sangue per vendicare Gesù Cristo, perché Lui – pur potendo farlo – non si è vendicato mentre lo inchiodavano sulla croce.

E c’è dell’altro: Lui, non solo non si è vendicato con molotov o fulmini dal cielo, ma ha addirittura perdonato, ha addirittura amato! E ha invitato a fare così anche ai suoi discepoli, e ai discepoli dei suoi discepoli (Lc 6,27-38). Il nostro Dio è grande, talmente grande che non ha bisogno della nostra vendetta; talmente più grande del loro dio che, lento all’ira e grande nell’amore (sal. 102,8), dall’alto del cielo vedendo le misere trame degli uomini contro il Messia, “se ne ride” (sal 2,8) e non si infuria; talmente (più) grande che non chiede altro spargimento di sangue di quello del suo figlio che, sulla croce, ha pagato per tutti. Per i nostri peccati, per quelli di Charlie Hebdo e per quelli dei sicari islamici.

Se esiste un dio che, rabbioso per le offese arrecate alla sua maestà divina, ha la necessità di chiedere agli uomini di smettere di essere uomini e, comportandosi come bestie, di tagliare le gole, le mani, le lingue, o sparare scariche di proiettili su altri uomini a causa dei loro peccati contro la Sua divina grandezza, questo non è – grazie a Lui! – il mio Dio. E ad onore alla verità dobbiamo avere il coraggio di affermare che non si tratta dello stesso dio! Perché nel nome del nostro Dio, oggi, non si diffonde la morte, ma al contrario, la vita!

CROCE INVOCATAOggi l’Europa si sente “Charlie”. Io un po’ meno. Per condividere il lutto e difendere la libertà di stampa tutti affermano con orgoglio di essere anche loro Charlie Hebdo e alzano le loro matite in ricordo dei vignettisti uccisi. Io preferisco sentirmi sempre, e solo, un nazareno e alzare, anzichè una matita, una croce. Oggi, in tutto il mondo, nazareni muoiono come cani, ignorati, oppure sbeffeggiati e insultati in continuazione dalle satire di tanti giornali come Charlie Hebdo (o La Repubblica, o El Pais… e tanti altri organi di stampa del nuovo pensiero unico progressista); ogni giorno sentiamo di nazareni perseguitati, torturati, massacrati e uccisi nelle terre dove regna indisturbata la religione islamica e dove la civiltà barbara fa fatica a lasciare il posto alla ragione.

Non a caso, un recente studio ha dimostrato che nella lista dei posti più intolleranti verso i “nazareni” ci sono solo paesi islamici, superati – in cima alla classifica per il 13° anno consecutivo – solo dalla Corea del Nord, ultimo baluardo di quella corrente di pensiero che ha ucciso (al momento) più cristiani che nessuna altra guerra: il regime dittatoriale comunista.

 

 

 

 

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