Testa•del•Serpente

"Rinunciare a tutto per salvare la testa" •

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È un “mondo al contrario”. E il libro del generale Vannacci ce lo conferma (due volte)

È un mondo al contrario quello in cui viviamo. Un mondo in cui prima di dire che 2+2 fa 4 siamo invitati a valutare se, al di là della matematica (roba da medievali!) non sia meglio lasciare aperta la questione per non offendere nessuno. Né i due, né i quattro, né i cinque, né coloro che pensano, ragionano o vivono diversamente la “loro” matematica: magari con un pensiero più “aperto” e meno tradizionale, più moderno e avanguardista per cui 2+2 può fare quello che tu vuoi tu, basta volersi bene. Fa nulla se a offendersi sia la maestra di matematica della prima elementare. Gli adulti, i vecchi, i boomer si adeguino al nuovo corso fatto di libertà, di sfumature e di spensieratezza ecoostenibile e arcobaleno.

È un mondo al contrario e ne abbiamo la prova ogni giorno. Un mondo nel quale una scrittrice di fama e di successo (premiata, intervistata, incensata, incattedrata, lodata da ogni parte persino da coloro che lei accusava) viene definita “controcorrente” pur avendo essa prestato la propria voce al padrone, mentre chi pensa diversamente viene insultato, sbeffeggiato, censurato, querelato e sanzionato.

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Dov’era Dio? L’appello della ragione e la fede di fronte dal mistero del male

O Dio non è onnipotente, o è un cinico mostro. In alternativa, non esiste. Se la fede ci dice che Dio esiste ed è un padre buono e misericordioso, previdente, che prende per mano e guida con amore le sue creature, lo scandalo del male capovolge la questione in maniera brutale. Se Dio esiste e permette il male non è onnipotente o non è buono. Ad ogni modo avrebbe delle spiegazioni da darci.

La filosofia moderna si è confrontata in questi termini col male e il dolore. È il campo della “teodicea” (termine coniato da Leibniz nel XVIII secolo) quella branca del pensiero che pone la questione della giustizia  di Dio di fronte alla presenza del male; essa cerca la coerenza, o giustizia, della storia partendo dal presupposto dell’esistenza di un Dio saggio che sceglie sempre il meglio possibile e di alcune verità fondamentali e immutabili. Così l’uomo ha cercato di offrire di volta in volta delle risposte alla domanda sul mistero del male, specie al male inflitto agli innocenti. Quando tutto crolla e il frastuono lascia spazio al silenzio si barcolla nel buio, si cerca un appiglio, ci si aggrappa al muro per rialzarsi, si cerca una certezza. Solida ed incrollabile. Unde malum?

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Un inno alla vita nella società della performance. La vita al di fuori del nostro scafandro.

Capita spesso di uscire di casa ogni mattina e non accorgersi dell’albero in fondo alla via, del palazzo dall’altro lato della strada, del cielo azzurro e di quelle sue nuvole dai contorni bizzarri e fantasiosi. In un mondo di fitness, in cui le palestre sono sempre piene, alzare la testa non è più un esercizio abituale. E in un mondo iper-connesso – in cui la tecnologia ci permettete di comunicare gratuitamente con amici sparsi per il globo – non è più così ovvio accorgersi del vicino di casa, del suo stato emotivo, spirituale, economico o fisico. Prendere coscienza di questa limitatezza è già un grande vantaggio ma nel trambusto quotidiano non c’è tempo per quelle che spesso consideriamo cose di poco conto. E mentre ci informiamo sulla crisi ucraina o sugli sviluppi dell’ultimo ritrovamento di documenti riservati in un vecchio garage di Washington, ignoriamo ciò che di bello o meno bello succede a due passi da casa. Incapaci di assumere come rilevante ciò che non ci viene filtrato dai media o dai social.

Avere tutto a portata di mano e non accorgersi di chi siamo e dove andiamo è un male col quale dobbiamo confrontarci. Come non c’è tempo, nel quotidiano affannarsi per il vicino di casa, non ce n’è neanche per le domande fondamentali dell’esistenza. Fino a quando qualche situazione limite non ci porti a scontrarci con la realtà di noi stessi: la nostra fragilità, la nostra finitudine, le nostre aspirazioni più alte, la nostra origine e il nostro destino. Quelle che il filosofo Karl Jaspers definisce “situazioni-limite” non sono altro che il muro contro si scontra l’uomo nel naufragio delle proprie certezze, del proprio conforto esistenziale. Una sveglia che suona nel pieno della notte interrompendo il sogno più bello.

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Santa Laura Montoya. Il fuoco missionario di una donna intrepida (Osservatore Romano)

Articolo pubblicato dall’autore di questo blog su L’Osservatore Romano il 31 ottobre 2022.

Per molto tempo l’uomo ha indagato su quale sia la via della perfetta felicità nel tentativo di sfuggire ad una esistenza scialba e priva di sapore. La distinzione tra un’esistenza autentica e la sopravvivenza è stata oggetto di studio della filosofia dai tempi di Platone fino agli esistenzialisti. Ancora oggi l’uomo si sforza di trovare vie per vivere in pienezza il proprio tempo sulla terra.

Al di la delle speculazioni e dei diversi tentativi più o meno riusciti di raggiungere la felicità, i santi dimostrano, con la loro esperienza concreta, che esiste un modo per vivere autenticamente facendo, come suggeriva San Giovanni Paolo II ai giovani, della propria vita “un capolavoro”. Questo non per i propri meriti ma per la capacità di lasciarsi condurre da Dio, lasciarsi plasmare da Lui, aderendo alla sua volontà pur nella consapevolezza dei propri limiti e delle proprie croci. Nel Vangelo do Giovanni, Gesù afferma: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». Solo chi rimane in Lui può compiere opere straordinarie e assistere ai miracoli che Dio compie nel proprio vissuto quotidiano.

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