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"Rinunciare a tutto per salvare la testa" •

Chi ha paura di papà? Il supereroe con qualche (inevitabile) difetto


papaDevo ammetterlo, non sono un grande esperto. Come papà sono un neonato, ho da poco compiuto il mio primo anno (solare) e questo 19 marzo è stata la mia seconda festa del papà. Di lavoretti per la festa del papà ne ho fatti tanti, più o meno egregiamente, ma non ne ho ancora ricevuto nessuno, e  dovrò aspettare un po’ di anni per vivere quel momento in cui mio figlio tornerà da scuola orgoglioso ed emozionato a consegnarmi ufficialmente quel lavoretto – frutto del suo impegno, della sua fantasia e, perché no, del suo amore, che per me avrà il valore di un diploma, o meglio, di una medaglia al merito.

Tra cinque anni, o forse prima (fanno qualcosa anche all’asilo?) avrò la conferma ufficiale che mio figlio mi riconoscerà davanti al mondo come il suo papà. Mi riconoscerà come il suo super eroe preferito, perché i bambini – a differenza degli adulti – sanno apprezzare più i pregi che i difetti delle persone. Per questo spero – e confido – di essere riconosciuto anche io come un eroe nonostante il fatto che sia una frana, che non sia affatto perfetto, che mi ostini a tifare la Roma, che ai mondiali gufi contro l’Italia (che veda solo giallorosso anche nelle bandiere nazionali), che legga solo libri religiosi, che vada troppe volte in Chiesa, che passi troppo tempo a scrivere articoli che nel migliore dei casi leggerà qualche familiare, che non giochi più bene a calcio come una volta, che non capisca niente di motori e che preferisca il Tour de France al circuito di Monza, che mangi il pane con la pasta, e che sia poco ecumenico, e tanti altre nefandezze… (il Padre perfetto non è di questo mondo, ma è Altro).

Più che come colui che gli ha dato la vita (evento lontano di cui non porta il ricordo), mio figlio mi riconoscerà come colui che lo protegge ogni giorno, che lo difende, che lo guida (anche con qualche urla o sculacciata) e che lo consiglia, concedendo dei sì e imponendo dei no. Speriamo.

Che il figlio riconosca il padre come padre, e non come un idiota rompiscatole qualunque che vive dentro casa imponendo le regole a caso, è qualcosa di essenziale. Prima la paternità era messa discussione quando i padri rifiutavano di riconoscere i propri figli biologici; ora invece (che i figli se non li vuoi riconoscere li riconosce la scienza per te e te li ri-appioppa) la paternità è in discussione quando sono i figli che rifiutano di riconoscere i loro padri. Ed è un bel problema, perché se al figlio non piace il papà e rifiuta di riconoscerlo come il proprio padre,quest’ultimo – deposto dal suo ruolo e svestito della sua autorità – il lavoretto se lo dovrà andare a comprare da solo a buon mercato per poi darselo in testa accompagnando l’amaro boccone con un buon bignè di San Giuseppe.

Il lavoretto fatto a scuola, a questo riguardo, acquista un valore simbolico tutt’altro che banale: il bambino, appositamente istruito ed aiutato dalle maestre e dai maestri, dedicherà qualche ora a preparare un disegno (senza uscire dai bordi), a imparare a memoria una poesia o a comporre qualche altro oggetto artistico, che assomigli a una cravatta, a una pipa o a una macchina, degno di una galleria del Tate Modern, da dedicare al proprio eroe quotidiano che non porta nessun travestimento particolare se non i pantaloni e – in qualche occasione – la cravatta.

Sarà faticoso perché a scuola, si sa, non si può copiare, e la concorrenza è spietata: il disegno della compagna di banco sarà semplicemente impeccabile (non esce mai dai bordi!), i suoi lavoretti piegati ed incollati alla perfezione e la sua poesia scorrerà veloce senza nessuna interruzione o titubanza! Ma ne varrà la pena, perché sporcarsi le mani coi pennarelli, ripetere duemila volte una filastrocca fino alla noia, incollarsi (per poi spellarsi) le dita con la colla (si usa ancora la Coccoina?!) sono solo alcune fatiche che bisogna pur affrontare una volta all’anno per consegnare al papà il riconoscimento che merita. Che poi non sia un lavoretto perfetto non sarà un problema: i papà sono indulgenti e guardano più al contenuto che alla forma, sanno chiudere un occhio, non esigono la perfezione, anche perché in quei momenti sono più emozionati e orgogliosi che attenti ai dettagli.

La ricompensa per il bambino, dopo tanta fatica e sudore, sarà il sorriso di papà, un abbraccio e forse un bignè alla crema. Gesti (e dolci) che il papà sarà ben grato di offrire (con la sensazione di non aver offerto nulla!) in cambio di vedersi riconosciuto, con un documento tangibile e firmato dal diretto interessato, quell’importante ruolo nella vita del figlio, il ruolo più grande (assieme quello della mamma!) che si può avere nella vita di una persona.

Per scoprire i difetti e le debolezze di questo invincibile eroe che è il papà, ci sarà tempo a sufficienza. Arriveranno – passaggio possibile, non necessario – quei demoni adolescenziali che, segnale d’abbandono dello stato di bambinezza, tenderanno a mostrare più i lati negativi (finalmente visibili ma esageratamente ingigantiti) di quelli positivi, contribuendo a dipingere nel peggiore dei modi colui che una volta fu un perfettissimo eroe; si potrebbe arrivare a pensare che il proprio papà sia il peggiore dei papà possibili e che il papà del vicino sia sempre il più bello, più moderno e più buono; si potrebbe arrivare a combattere quello che una volta fu invincibile alleato. In quei momenti il riconoscimento sarà un difficile esercizio di memoria e di razionalità.

Ma il papà che avrà ricevuto quegli inestimabili trofei che sono i lavoretti del proprio figlio, conserverà nel cuore (e nell’armadio) la consapevolezza del proprio ruolo e l’orgoglio del suo riconoscimento. Forte di quei lavoretti avrà pazienza come un saggio eroe la cui ira non esplode alla prima provocazione e il cui animo non si arrende alla sconsolata delusione. E gli antichi trofei saranno armi nel momento del bisogno.

Poi il ragazzo crescerà e imparerà ad amare ed onorare nuovamente il proprio eroe, nonostante i difetti (ora ragionevolmente evidenti). A quel punto sentirà il desiderio di tirar fuori dall’armadio i vecchi lavoretti per farne di altri e di migliori al fine di rimediare, recuperare, ricominciare. Ma si renderà conto che il tempo non torna, che il bimbo che fu e il suo perfettissimo eroe son rinchiusi in quei ricordi, che ora – da uomo a uomo – i difetti, i litigi, le incomprensioni non impediranno, bensì rafforzeranno, quell’amore.

I supereroi a volte fanno paura e oggi qualcuno ha paura del papà. Chi ha paura di papà pone un divieto inappellabile: il divieto di fare i lavoretti a scuola, perché sa bene che quel lavoretto è un riconoscimento ufficiale che manifesta al mondo un legame: un legame di donazione e sottomissione, ma allo stesso tempo – e proprio per questo – un patto d’amore così forte ed esclusivo che non permetterà le intrusioni di altre autorità o di altri nuovi fantomatici eroi.

Ma riconoscere il papà resterà un compito costante, un dovere fondante, una chiamata impellente: “Onora tuo padre e tua madre…“; proprio nel riconoscere il papà (a prescindere dai meriti checché ne dica il signor Benigni) risiede il segreto del successo e della felicità: “…Perché tu sia felice nel paese che il Signore tuo Dio ti darà“.

 

Miguel Cuartero

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