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"Rinunciare a tutto per salvare la testa" •

Le responsabilità dei media nell’attentato al premier slovacco Fico


L’attentato al premier slovacco Robert Fico rappresenta un atto gravissimo in un contesto storico e politico particolarmente delicato per l’Europa.

Sconvolta da una guerra alle porte e chiamata ora a delle elezioni che (anche per il conflitto in atto) rappresentano un appuntamento decisivo per il futuro, ma anche per il presente, del nostro continente, l’Europa viene ora ferita da un atto vile che mostra, in tutta la sua crudezza, quanto si sia inclinato il piano della violenza e dell’odio.

L’attentato mostra anche quanto sia facile passare dalle parole ai fatti e quanto una narrazione politica aggressiva e violenta  può polarizzare la società trascinandola al bordo di una crisi di nervi.

Su questo la politica ha una grande responsabilità. Incapaci di generare dialogo, indisponibili a riconoscere punti comuni coi propri avversari e rifiutando di rinunciare alle battaglie personali e ideologiche per ricercare il bene comune, gli attori politici hanno trasformato il campo politico in una guerra senza frontiere contro ogni avversario. In palio c’è il potere e non il bene, la sicurezza e la prosperità del proprio paese.

Ma non è più possibile nascondere il ruolo giocato dai media e la grave responsabilità che pesa sulle spalle di chi crea e alimenta una narrazione, spesso di parte, volta a denigrare, additare, condannare in ogni modo l’avversario.

Ad un rapido sguardo risulta imbarazzante come i giornali italiani hanno riferito la notizia dell’attentato al Premier slovacco Fico. Mentre alcuni giornali hanno preferito dare risalto alla finale di Coppa Italia giocata la sera precedente, le notizie riguardanti l’attentato hanno scatenato l’ira dei lettori che sui social (unico luogo dove è possibile commentare pubblicamente titoli, agenzie e articoli) hanno espresso (per l’ennesima volta!) il loro disappunto contro le testate giornalistiche nazionali.

I giornali infatti anziché sottolineare la gravità dell’accaduto e l’anomalia di un attacco fisico ad un capo di stato che poteva costare la vita con gravi ripercussioni sulla stabilità politica e sociale della zona, hanno preferito sottolineare l‘identikit della vittima segnalando tutti quelli che il pensiero mainstream considera i suoi peggiori difetti.

A questo scopo i titoli rimarcano che si tratta di un premier populista, alleato di Putin, vicino ad Orban (una delle peggiori accuse che si può oggi ricevere), sospettoso verso i consigli dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Salute). Titoli che danno l’impressione che l’uomo se la sia cercata o, in qualche modo meritata.

«Populista e divisivo» titola Il Corriere della Sera. Stessa definizione alla Giornale Radio della Rai. «Accusato di  Ndrangheta, tra l’amicizia con Putin e la guerra ai giornalisti» sottolinea Repubblica (dove la notizia nella versione online scivola, dopo poche ore, in fondo alla pagina come fosse un fatto di cronaca senza interesse). E ancora «populista xenofobo, No Vax e amico di Putin che ha messo nel mirino magistrati, media e ong». Anche «complottista!» (così, senza ulteriori specifiche).

Non basta quindi dire che un premier europeo, eletto democraticamente, è stato vittima di un attentato con arma da fuoco, cosa gravissima, inusuale, pericolosa per l’equilibrio di un paese e del continente (la storia lo ha mostrato chiaramente). Bisogna sottolineare le sue colpe, condannare i suoi peccati, rievocare il suo passato. Una brutta persona, un mostro.

Ma il colmo arriva con un titolo della agenzia Ansa dedicato all’attentatore: «L’autore dell’attacco contro il premier slovacco è un 71nne noto come attivista non violento nonché autore di poesie». Inspiegabile: un pensionato poeta pacifista che imbraccia le armi contro un governante. Sarà stato il caldo, o la pizza, o forse sarà che ha interpretato il sentimento comune di una nazione. Oppure avrà semplicemente letto troppi giornali, avrà visto troppi telegiornali, avrà dato retta a troppi giornalisti esperti che di giorno in giorno trovano il nemico, lo identificano, lo bersagliano e lo propongono al pubblico per un “minuto d’odio” (Orwell, 1984) utile alla causa dei buoni.

Ne sappiamo qualcosa in Italia dove, a un anno dalla sua morte, Berlusconi viene ancora insultato e diffamato in tv da un noto maitre a prenser evidentemente non sazio di trent’anni di persecuzione mediatica contro l’ex premier. Un paese dove i media lavorano notte e giorno per fa inciampare il proprio premier, annunciando sondaggi, denunciando ogni possibile falla, criticandone i collaboratori e facendo leva anche sulle questioni personali, l’accento, l’abbigliamento, le amicizie, il passato, il presente e denunciandone ogni piccolo o grande peccato contro il pensiero unico.

La brutta stagione del covid ha dimostrato quanto i media possono essere pericolosi in questo senso, creando ed esasperando divisioni e fratture in una società già polarizzata. La caccia ai non vaccinati (definiti con spregio novax dai media) ha contribuito a creare un clima di odio e di discriminazione imbarazzanti contro normali cittadini, dipinti come mostri da allontanare, insultare e bullizzare.

Nessuno mette in dubbio che pretendere imparzialità nei media èun’utopia irrealizzabile. Ma rendersi conto di quante divisioni si creano per partigianeria (è proprio il caso di dirlo) può essere il primo passo per cercare ad invertire la rotta.

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