Testa•del•Serpente

"Rinunciare a tutto per salvare la testa" •

C’è una “generazione ansiosa”, frutto degli errori dei genitori e dei media catastrofisti


Di Federico Rampini su Il Corriere della Sera – «I social sono le più efficienti macchine del conformismo mai inventate». La Generazione Z e successive sono quelle più colpite da suicidi, depressione e patologie psichiche: troppo protette dalle esperienze del mondo reale, ma abbandonate senza tutele al mondo virtuale.

In testa alle classifiche dei best-seller in America c’è un libro sulla “generazione ansiosa”: la Generazione Z e quelle ancora più giovani, colpite da suicidi e depressioni e altre patologie psichiche con un’intensità senza precedenti. La tesi del libro è che queste fasce di età sono state oggetto di un esperimento inedito nella storia umana: dei genitori troppo protettivi le hanno private di molte esperienze del mondo reale, mentre al contrario le hanno abbandonate senza tutele a un mondo virtuale molto più aggressivo.

Sono le prime generazioni a vivere un’immersione totale nei social, con ripercussioni sconvolgenti sulla loro salute. Questo spiega in larga parte due fenomeni che le contraddistinguono – e sono emersi in modo acuto sia con la radicalizzazione estrema dell’ambientalismo sia con il movimento “pro-Pal” – cioè il pessimismo e il conformismo. 

Sembra lontana l’epoca in cui Barack Obama riusciva a suscitare e a cavalcare un entusiasmo giovanile, decisivo per le sue due vittorie elettorali (2008 e 2012). Obama trasmetteva alle nuove generazioni un vibrante ottimismo, espresso nello slogan «Yes, We Can». Sì, possiamo cambiare l’America e il mondo, possiamo fare la storia. Del resto, un’altra sua affermazione famosa riecheggiava quella del pastore Martin Luther King (leader del movimento per i diritti civili negli anni Sessanta) secondo cui «l’arco della storia è curvato in direzione della giustizia». Una dichiarazione di fede nel progresso umano

Lo stesso Obama, ancora pochi giorni prima che Donald Trump vincesse l’elezione del novembre 2016, fece un’affermazione che oggi suona davvero clamorosa, quasi provocatoria. L’autorevole magazine tecnologico Wired – un’icona della Silicon Valley – gli aveva chiesto di esserne «il direttore per un numero», un’edizione speciale dedicata in buona parte alla fantascienza (di cui l’ex presidente è un accanito lettore). 

Nell’editoriale di apertura di quel numero di Wired, nell’ottobre 2016, Obama scrisse questo: «La prossima volta che siete bombardati da affermazioni esagerate sul fatto che la nostra nazione è condannata o che il mondo sta andando a pezzi, non date retta ai catastrofisti. La verità è questa: se doveste scegliere in tutta la storia dell’umanità il periodo migliore in cui essere vivi, scegliereste quello attuale. Qui in America, proprio adesso». 

L’affermazione è incontestabile. Da quando è apparsa sulla terra la specie di Homo Sapiens, non abbiamo mai goduto di una tale salute, di questi livelli di benessere e sicurezza. Questa constatazione è valida per tutta l’umanità contemporanea, che gode di indicatori di longevità, robustezza fisica, istruzione, mai visti prima. È particolarmente vero negli Stati Uniti che rimangono la nazione più prospera del pianeta: e lo sono per tutte le proprie componenti, minoranze etniche incluse. I black statunitensi, i cittadini di origine ispanica, non hanno mai goduto di così tanti diritti e benessere come oggi. I dati sono ineccepibili e incontestabiliObama in fondo constatava e confermava un’ovvietà. Eppure quella sua affermazione, che suonava già abbastanza controcorrente nell’autunno di otto anni fa, oggi sembrerebbe assurda per molti giovani, americani e non: convinti di vivere nel peggior mondo possibile. Cos’è accaduto per imporre a queste generazioni una rappresentazione così negativa?

Il saggio che fornisce una risposta molto netta, puntando il dito contro il ruolo distruttivo e patogeno dei social, è “The Anxious Generation”, la generazione ansiosa, di Jonathan Haidt. Il sottotitolo è ancora più esplicito: «Così la grande riconfigurazione dell’infanzia causa un’epidemia di malattie mentali»

Ho tradotto il termine inglese “rewiring” con “riconfigurare”, è un vocabolo tecnico che può significare anche “riconnettere”, appartiene al mondo dell’informatica e delle telecomunicazioni. Haidt è uno studioso di psicologia che si è già occupato in passato dell’evoluzione dell’infanzia, dei metodi educativi applicati soprattutto dai genitori americani. Tra le sue opere più importanti, una segnalò tempestivamente la tendenza a “coccolare” le menti dei bambini e degli adolescenti con operazioni di censura che colpivano anche le favole classiche, colpevoli di non avere sempre un esito lieto e rassicurante. 

Nel nuovo libro riappare anche questo tema: Haidt segnala che dieci anni fa si generalizzò la tendenza fra gli studenti universitari a esigere la censura di libri che «li facevano sentire insicuri», perché sfidavano le loro certezze o esponevano realtà sgradevoli, brutali, scomode. Più in generale una generazione di studenti esibiva «modalità di pensiero» che nella scienza medica sono associate a forme di depressione grave. Una delle prime spiegazioni, fu che «l’insegnamento impartito in molte università spingeva gli studenti verso distorsioni cognitive come il catastrofismo, la visione in bianco e nero, ragionamenti basati sulle emozioni». Tuttavia questa era solo una parte della spiegazione. 

Nella sua ultima opera Haidt accumula una serie di studi scientifici che convergono su questa spiegazione: questa generazione è la prima ad essere stata privata di «esperienze nel mondo reale» da genitori troppo timorosi e protettivi, e al tempo stesso abbandonata senza tutele al mondo virtuale. «Non appena gli adolescenti cominciarono ad avere gli iPhone, divennero più depressi. Gli utenti più assidui erano anche i più depressi. Mentre quelli che passavano più tempo in attività con relazioni umane dirette, come gli sport di squadra e le pratiche religiose in comunità, erano i più sani».

Riassumo con parole mie i tanti cambiamenti che l’autore analizza. A un certo punto della storia americana che lui situa attorno agli anni Ottanta, i genitori (prima quelli della generazione Baby-Boomer, nei decenni successivi anche quelli della generazione Millennial) hanno avuto il terrore – spesso esagerato – di esporre i propri figli ai pericoli del mondo reale: predatori sessuali, sparatorie, rapimenti di bambini, droghe. Li hanno quindi isolati da quel mondo, riducendo molte delle attività che bambini e adolescenti avevano sempre svolto all’aperto, insieme a coetanei, senza supervisione di adulti. 

Gli stessi genitori iper-protettivi hanno invece abbandonato i propri figli – purché stessero a casa – a un mondo virtuale feroce, spietato, senza regole e senza controllori. 

Mentre in passato l’infanzia e l’adolescenza prendevano la misura dei pericoli del mondo reale e imparavano (quasi sempre) le precauzioni per proteggersi, oggi sono molto più indifese anche se la loro attività “sociale” si muove tra le mura di casa, davanti a uno schermo, muovendo le dita. La coincidenza temporale fra la diffusione di massa degli smartphone, dei tablet, dei videogame, e l’epidemia di depressioni, patologie autolesioniste, suicidi adolescenziali, è impressionante

Un’obiezione che Haidt si sente rivolgere, la conosciamo tutti. «Quando presento queste scoperte, qualcuno le contesta con argomentazioni di questo genere: certo che la Generazione Z è depressa, basta guardare allo stato del mondo nel XXI secolo! È cominciato con gli attacchi terroristici dell’11 settembre, le guerre in Afghanistan e Iraq, la crisi finanziaria globale. Questi ragazzi sono cresciuti in mezzo al riscaldamento climatico, le sparatorie nelle scuole, la polarizzazione politica, le diseguaglianze, l’aumento dei debiti studenteschi. … La loro generazione è ansiosa e depressa per il cambiamento climatico, che inciderà sulle loro vite più che sulle generazioni anziane». 

La sua risposta a queste obiezioni eccola: «Non nego che certe preoccupazioni siano legittime, ma voglio sottolineare che una minaccia incombente su un popolo o su una generazione storicamente non ha mai fatto salire le malattie mentali. Quando le nazioni sono attaccate, con la forza militare o con il terrorismo, i loro cittadini di solito si mobilitano attorno a una bandiera e si compattano fra loro. Sentono un forte senso di finalità, i tassi di suicidi scendono. Decenni dopo, i ricercatori scoprono che coloro che furono adolescenti all’inizio di una guerra manifestano i più alti livelli di fiducia e cooperazione»

Un’altra costante del passato, è che i grandi movimenti di protesta giovanili sembravano offrire uno scopo alla vita, infondevano passione, suscitavano energia. Oggi non è più così, stando ai numerosi studi citati nel libro: «Coloro che sono politicamente più attivi soffrono di uno stato di salute mentale peggiore». Nulla di tutto ciò si spiega con lo stato reale del mondo. «Se tutto sembra andare a pezzi – scrive Haidt – questo era altrettanto vero quando io crescevo negli anni Settanta e quando i miei genitori crescevano negli anni Trenta. È la storia dell’umanità. Se gli eventi mondiali oggi hanno un impatto sulla crisi della salute mentale, non è perché il mondo sia di colpo peggiorato. È perché gli eventi del mondo vengono improvvisamente pompati nelle menti dei ragazzi attraverso i loro cellulari, non come notizie, bensì attraverso dei post sui social in cui altri ragazzi esprimono le loro emozioni su un mondo che crolla, emozioni contagiose attraverso i social». 

I social, osserva Hadit sulla base di una mole impressionante di ricerche scientifiche, «sono le più efficienti macchine del conformismo mai inventate, in poche ore possono plasmare i modelli mentali di un adolescente imponendogli quali comportamenti siano accettabili, mentre i genitori possono combattere per decenni senza successo». 

Navigazione ad articolo singolo

Lascia un commento